ALICE CAPOZZA | Andrea Cioffi e Sara Guardascione, con lo spettacolo La Pagella, sono i due giovani under 35 vincitori del Festival Storie Interdette – Fare comunità, (svoltosi dal 10 al 12 maggio) realizzato da Chille de la Balanza storica compagnia stabilmente residente nell’ex manicomio di San Salvi a Firenze.
Cioffi, diplomato al Teatro Stabile di Genova, e Guardascione, diplomata allo Stabile di Napoli, si sono incontrati nel 2017, in occasione del Fringe Hart di Napoli. Hanno collaborato per lo spettacolo Il concerto (2017) e subito dopo per Mary Poppins, un riadattamento teatrale dell’omonimo film con la compagnia Il Demiurgo srls, con la quale collaborano tutt’ora. Da allora, oltre a condividere progetti e idee in diverse produzioni, sono anche una coppia nella vita.
Li abbiamo incontrati per farci raccontare la loro esperienza a Storie Interdette.
Da cosa siete partiti per la vostra idea progettuale de La Pagella?
SG: Come intuibile dal titolo, l’idea nasce dal fatto di cronaca che ha visto protagonista il bambino del Mali annegato con la pagella cucita in tasca, durante il tentativo di attraversare il Mediterraneo, con la speranza di costruirsi una vita in Europa. La vicenda è stata raccontata nel libro Naufraghi senza volto di Cristina Cattaneo (2018) e resa ancor più nota dalla struggente vignetta pubblicata da Makkox e circolata sui social a gennaio del 2019. Ci ha interessato l’idea di affrontare un problema di attualità politica facendo leva sull’emotività del pubblico e sull’empatia con i personaggi coinvolti nella storia.
Come avete sviluppato l’idea iniziale per arrivare alla messa in scena?
AC: Abbiamo provato a invertire il punto di vista, immaginando un’Italia distopica, impoverita, violenta e sorvegliata militarmente, da cui una ragazzina, determinata a costruirsi un futuro in un luogo migliore, tenta di fuggire, portando con sé la propria pagella. A pochi passi dal molo dove la aspetta il suo destino, la ragazzina incontra un guardiano, storpio, burbero, che le racconterà la sua storia, scandita da terribili leggi restrittive, pensando a una deriva politica non troppo distante da quella a cui oggi stiamo approdando.
SG: Nessuno dei due protagonisti è portatore di una verità o di una giustizia assolute, al contrario, entrambi sono “limitati, ottusi”. La ragazzina è testarda e ingenua, si perde nelle illusioni e manca di concretezza, il guardiano è incapace di guardare oltre i suoi dogmi e le regole che una società meschina gli ha imposto.
Nel costruire lo spettacolo avete lavorato in residenza artistica dai Chille: com’è stata l’esperienza? Cosa ha aggiunto al vostro processo creativo la dimensione residenziale e collettiva?
SG: Durante la prima fase di residenza, alla quale ho partecipato senza la compagnia di Andrea, mi sono ritrovata di punto in bianco in una dimensione sui generis. La realtà di San Salvi, un ex luogo, ora non-luogo, che Claudio Ascoli, Sissi Abbondanza e Matteo Pecorini ci hanno mostrato, è una cittadella fantasma, in cui non sai dove siano le persone. All’interno, in mezzo a uffici, laboratori, un cinema abbandonato, Vigilandia – un parco tematico recintato dove si insegnano ai ragazzini i segnali stradali – c’è la sede dei Chille, sovraccarica di oggetti e costumi, frutto di un accurato lavoro di collezione: spazi che restano inquietanti e insieme si fanno accoglienti e inclusivi. Per le strade di San Salvi, invece, barriere, divieti, recinzioni ingombrano ogni angolo, lo spazio resta di reclusione, un luogo che divide invece di unire. Tutto questo è stato molto importante per la creazione del nostro immaginario, ci ha suggestionato e poi guidato nella costruzione dell’ambientazione, nell’ideazione degli editti che scandiscono il tempo del nostro spettacolo.
AC: Sara mi ha tenuto aggiornato per tutto il tempo della prima fase della residenza, riferendomi delle luci, degli spazi, dei costumi e dei materiali che i Chille ci mettevano a disposizione. Eravamo liberi di agire come meglio credevamo. Questo ci ha dato la possibilità di immaginare uno spazio non convenzionale, con il pubblico ai lati della scena; ci ha permesso di sfruttare le suggestioni che ogni singolo faro poteva rendere, giocando sui mezzi toni tra luce e ombra; ci ha consentito di costruire una scena che fosse semplice, essenziale, ma anche viva, dove ciascun elemento potesse essere spunto per un’azione. Anche il confronto dialettico con Claudio e Sissi, a proposito delle tematiche trattate dal nostro progetto, ci ha consentito di focalizzarci sui punti più interessanti e sviluppabili, per evitare che l’ambientazione diventassee dispersiva. La collaborazione, poi, con Gabriele Ramazzotti e Pecorini è stata centrale per la messa in scena: esperti come sono dello spazio che quotidianamente vivono, hanno saputo aiutarci a realizzare tecnicamente ogni richiesta registica.
Com’è stato il rapporto con gli altri partecipanti al concorso?
AC: Sembra banale dirlo, ma la verità è che non si avvertiva competizione. Ce lo dicevamo nei giorni precedenti il debutto. Si assisteva alle prove degli altri, ci scambiavamo consigli, ci davamo una mano con l’allestimento. Sembrava di dover mettere in piedi un unico spettacolo, ognuno di noi aveva una scena da realizzare, ma era importante che tutte funzionassero al meglio. Ci stavamo preparando insieme per il pubblico, per raccontare ciascuno una storia con grinta e genuinità.
SG: Abbiamo trascorso tempo insieme come un gruppo di vecchi amici. È incredibile come in una residenza teatrale le relazioni umane possano avere uno sviluppo così rapido, non l’avevo mai sperimentato. È stato bello scambiarci opinioni. Abbiamo parlato di teatro in modo sincero, come non capita quasi mai tra addetti ai lavori. Continuiamo a sentirci, ci teniamo in contatto.
Il vostro lavoro ci presenta un futuro dove le risorse sono terminate e il chiudersi nei propri confini ha portato a miseria e ingiustizia: quali credete che siano i segnali del presente che fanno pensare a questi esiti? Come possiamo scongiurare tutto questo?
SG: Il futuro che abbiamo rappresentato è distopico, ma in effetti non così tanto. Mentre le destre populiste e xenofobe acquistano sempre maggiore spazio, proponendosi come “il cambiamento”, acquistando favore popolare, guadagnando la fiducia delle persone ottuse, come i nostri personaggi, obnubilate dall’odio, crescono le violenze, i decreti legge condannati dall’ONU, impera l’odio, le ingiustizie sociali, prendono campo le teorie complottiste e antiscientifiche, si riduce la libertà di opinione (pensiamo, solo per fare esempi recenti in riferimento all’Italia, alla professoressa sospesa a Palermo, al sindaco di Riace, al Congresso delle famiglie a Verona).
AC: Non pensiamo che oggi si possa scongiurare tutto questo, in parte ci siamo già dentro. Possiamo solo cercare, con il nostro lavoro, nel nostro piccolo, di sensibilizzare le persone. Entrambi crediamo che il teatro sia un mestiere sociale. Questa intesa, questo obiettivo comune, è quello che ci ha da subito uniti. L’arte può indirizzare l’attenzione del pubblico verso tematiche trascurate, invitare a riflettere grazie all’empatia con i personaggi, alla risata, al gioco, per poi condurlo a scoprire l’orrore e le tragedie che stiamo vivendo.
Come prosegue il vostro progetto? C’è l’idea di strutturare questo primo studio in uno spettacolo? Avete poi altri lavori in cantiere?
SG: Abbiamo pensato di estendere la storia, raccontando più nel dettaglio le vite dei due personaggi, sviluppando il loro rapporto, svelando maggiori elementi del contesto storico, per trasformarla in uno spettacolo di circa un’ora da presentare agli studenti. Crediamo infatti che ai ragazzi debbano essere forniti più strumenti per conoscere e valutare il mondo in cui vivono, per avere la possibilità, domani, di scegliere, votare, inventare, creare, vivere, divertirsi, nella maniera più consapevole e libera possibile.
AC: Sì, abbiamo altri lavori in cantiere. Siamo veramente felici, perché ad aprile siamo stati i vincitori di un altro premio, Nuove sensibilità 2.0 istituito dal Teatro Pubblico Campano, con una drammaturgia inedita. A breve, pertanto, allestiremo lo spettacolo vincitore, questa volta incentrato sull’intelligenza artificiale, come veicolo per esplorare il modo in cui oggi intendiamo i rapporti umani, e saremo finanziati dal TPC. Lo spettacolo, dal titolo S.A. – Senso Artificiale, sarà a cura di Il Demiurgo srls e debutterà in apertura di stagione, in anteprima, presso il Teatro Nuovo di Napoli.