img_7332RENZO FRANCABANDERA | Dopo l’allestimento a Matera di Purgatorio – Chiamata Pubblica per la “Divina Commedia” di Dante Alighieri, Ermanna Montanari e Marco Martinelli a Ravenna hanno dovuto creare di fatto un nuovo spettacolo rispetto a quello pensato per la Capitale Europea della Cultura 2019, raccontato per PAC con passione da Maria Francesca Germano (articolo a cui peraltro rimandiamo, anche al fine di favorire un confronto con questo allestimento).
Uno spettacolo diverso anche perché quella «scenografia naturale e architettonica in cui ambientare il viaggio», nella magica ma piattissima Ravenna non c’è. Almeno così ispiratamente verticale. Ma ci sono alcune presenze simboliche non marginali: la Tomba di Dante e ovviamente il Teatro Rasi, la casa del Teatro delle Albe.
E quindi i due artisti hanno deciso, come in fondo era giusto, di giocarsela in casa, legando nella passeggiata, questi due luoghi essenziali, e svolgendo loro stessi il ruolo di guida, ma sapendo che in fondo per molti ravennati la strada era nota. Ciò nonostante il bello è stato proprio riuscire nonostante tutto a creare – come era a Matera dove però gli angoli e gli anfratti si moltiplicano – il senso della sorpresa, dell’incontro magico, di quell’inaspettato ultraterreno.
img_7333Lo spettacolo conserva le tappe emotive e letterarie dell’itinerario materano ma qui si parte dalla tomba di Dante, e i due artisti ne aprono i battenti, come a chiedere alla voce, allo “spirto” del sommo poeta di soffiarci la verità di quei versi, affidati all’inizio anche alla figura ieratica di Gianni Plazzi.

Proprio come nel Proemio della Cantica, quando Dante e Virgilio arrivano sulla spiaggia del Purgatorio, dopo la lettura dei primi versi affidati alla Montanari, in cui Dante vede le quattro stelle, c’è appunto l’apparizione di Catone Uticense/Plazzi. Virgilio prega Catone di ammettere Dante al Purgatorio. I versi vengono scanditi e poi ripetuti dal pubblico, cosa che succederà anche in altri momenti dello spettacolo, cifra caratteristica del rapporto con la parola poetica e il pubblico, per le Albe.
Virgilio nel poema dantesco a questo punto cinge il discepolo col giunco, che qui viene recuperato come simbolo, affidando a molti dei bambini presenti: canne di giunco che vengono sventolate mentre il suono ricavato da una conchiglia riporta all’idea della spiaggia del Purgatorio.
Di qui innanzi, parte la processione civile che porterà gli spettatori dalla tomba di Dante al Teatro Rasi, un percorso non privo di epifanie poetiche e melodiche, sotto forma di apparizioni da logge antiche, balconi della città, quasi a cercare quella verticalità che l’inesistente orografia romagnola offre. Una delle giovanissime voci, proveniente dalla prima di queste logge all’altezza del civico 40/42 di Via Guaccimanni, sconvolge i numerosissimi partecipanti che, come incantati, sembrano non voler abbandonare quel suono magico e continuano a camminare volgendo la testa indietro. Io stesso guardavo il mio vicino di passeggiata incredulo.
Eravamo in molti. Ho fotografato una piccola parte della processione nella lente stradale all’incrocio.
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Di lì a poco, svoltando  in Via Roma, su un altra loggia, una bambina-angelo inviterà tutti al silenzio, e lì, attraversando il cancello dietro il Teatro Rasi, entreremo nell’hortus conclusus delle Albe: sulle scale di sicurezza esterne a uno degli edifici una straordinaria e indimenticabile installazione ispirata ai morti per forza, ovvero per violenza, del secondo balzo dell’Antipurgatorio, nel V canto. Un lamento umano dedicato alla violenza sulle donne, che dapprima paiono cantare un canto angelicato, e che invece è un audio registrato; in realtà ripetono prima silenziosamente e poi più forte «Ricordati di me». Ci racconteranno le loro storie, le loro uccisioni, nascoste da un velo leggero e di tinta chiara, fra il giallo e il rosa, tutte diverse e illuminate dal basso di rosso da una delle ispirate luci di Fabio Sajiz.
È stata una immagine fortissima e nascosta agli occhi per chi da Via Roma accedeva al giardino retrostante il teatro, i cui spazi saranno poi interamente occupati. Eravamo infatti entrati attraverso un cancello sulla strada principale, passando in un varco angelicato di quattro bambini che ci segnavano la fronte con la P (in Dante le P sono sette e arrivano nel canto XI ad opera dell’angelo guardiano) per farci accedere al Purgatorio: e poi di colpo questa colonna verticale, femminile, angelicata e lamentosa. Sconvolgente! Forse il vero ricordo indelebile di questo allestimento. Un segno artistico di purezza assoluta.
Schermata 2019-07-15 alle 00.30.56.pngQui arriva anche la figura di Manfredi di Svevia, (canto III del Purgatorio) che chiede al poeta di andare a rivelare a sua figlia la verità sulla sua morte e di ricordarlo nelle preghiere per accorciare il tempo della sua penitenza purgatoriale. E quel legame fra spirito defunto del padre e il «Ricordati di me», non può che riportare ad Amleto e all’incontro notturno con lo spirito del padre: un segno scenico che siamo certi non sia casuale, anche se inserito dolcemente, in modo quasi illeggibile, come la vera arte deve essere quando sovrappone, in un tessuto sempre nuovo, le maglie di secoli di linguaggio.

Nel marzo di quest’anno, in un dialogo immaginario fra passato e presente nel rapporto fra arte e politica, su queste pagine Matilde Puleo collegava, profeticamente rispetto al lavoro del duo ravvennate, le figure di Joseph Beuys a quella di Greta Thunberg. Ed entrambe le figure, quella dell’artista e della giovane icona della lotta ambientalista, aprono e chiudono la successiva passeggiata nel giardino fra i palazzi. Entrambi, come ricordato nell’articolo della Puleo, ispirati al ruolo politico del linguaggio e della partecipazione, ci riporteranno dai banchi di scuola fino all’illuminazione, per avvicinare alla fine del percorso, il nostro spirito al Paradiso.

Finiamo così fra i banchi di scuola (a lezione dall’Oderisi da Gubbio del canto XI) in una sorta di aula-fienile di rimandi odorosi alla madre Terra (si chiude con alcuni fotogrammi di Uccellacci uccellini di Pasolini sulla violenza presente nella natura stessa). Ci spostiamo di poco e fra formazione, partecipazione sociale, poetica e ruolo dell’individuo nella società, siamo al cospetto di un’aula colorata di bambini e adulti, in cui la parola dantesca appare e scompare, mescolandosi a quella dei poeti dell’oggi (Hillesum, Whitman, Donne, Majkovskij).
Questi scolari portano addosso coloratissime magliette ispirate al segno sintetico del Matisse maturo, opera, come tutte le scenografie e i costumi, degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Brera Milano-Scuola di Scenografia e Costume coordinati da Edoardo Sanchi e Paola Giorgi.
Arriviamo quindi all’altra installazione umana verticale (la seconda rampa di scale di sicurezza del complesso), su cui prende corpo l’invettiva all’Italia del VI canto, «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!», che nella versione ravennate si anima delle varie “tribù” di spettatori e partecipanti di ogni parte d’Europa, che giorno dopo giorno arrivano e decidono di alimentare questa parte dello spettacolo in forma spontanea. La gigantesca cartina che a Matera era calpestata da una umanità distratta, ancorchè trapassata, qui è appesa all’incontrario, sottosopra. Come davvero è.

Passiamo poi, seguendo gli ignavi penitenti che corrono feroci per espiare la loro pena, attraverso l’orto di questo cortile interno, odoroso di piante di pomodori innaffiate e di suono di cicale testarde, e veniamo portati nel XIX e XX canto, rispettivamente a confronto con le figure di Adriano V e Ugo Capeto, affidate a due colonne storiche delle Albe,  Alessandro Argnani e Luigi Dadina. Bellissima la sedia a rotelle su cui è seduto quest’ultimo, cieco, che sovrasta e sembra levitare sulle piante di pomodoro che cercano il sole estivo. Ricorda quasi il Beckett di Finale di partita.

Concludiamo come dicevamo con il segno scenico della Greta/Matelda (una e quadrupla, forse come le quattro stelle iniziali? dubbio), che dopo aver sistemato segnerà di nuovo il capo degli spettatori, in uscita questa volta dal Purgatorio, ma ora predisposti a vedere le stelle. Più che un segno una imposizione della mano sulle nostre fronti madide di calura romagnola, dopo averci rimproverato «Voi non avete più alibi, e noi non abbiamo più tempo». 2e23815b-4291-414a-88f8-c84fbac787d8
Greta, insieme alle parole di Beatrice (icone difficilmente comparabili, e probabilmente anche non facilmente giustapponibili, per intensità e levatura poetica, anche se forse, oggi, la prima è assai più “pop” e conosciuta della seconda, diversamente dal Trecento, quando la soave donna di Dante dovette furoreggiare nell’immaginario popolare), ci accompagna in un fuori che è ancora un dentro, vissuto delle centinaia di persone che hanno preso parte a queste repliche e che plaudono commosse alla creazione collettiva che forse, più dell’Inferno, profuma della parola dantesca.

Una parola che questa grandiosa operazione aiuta a riverberare. Giorno dopo giorno. Replica dopo replica. Verso dopo verso.
Una tenacia, quella delle Albe per la restituzione della poesia alla popolazione italiana, che commuove oltre ogni possibile complessità, ogni possibile difficoltà di allestimento, che ci lascia in attesa del Paradiso e poi di quell’evento teatrale che probabilmente segnerà davvero la storia di questo secondo decennio del nuovo millennio, con le tre cantiche, una dopo l’altra, in una indimenticabile maratona, che attendiamo come momento spirituale per tutta la comunità dell’arte italiana.


PURGATORIO
Chiamata pubblica per la Divina Comedia di Dante Alighieri

ideazione, direzione artistica e regia
Marco Martinelli e Ermanna Montanari
in scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Alessandro ArgnaniLuigi Dadina, Matteo GattaRoberto MagnaniMirella Mastronardi, Marco Montanari, Gianni Plazzi, Massimiliano RassuLaura Redaelli, Alessandro Renda e i cittadini della Chiamata Pubblica
musiche Luigi Ceccarelli in collaborazione con Giacomo Piermatti e Vincenzo Core e con gli allievi della scuola di Musica Elettronica e di Percussione del Conservatorio Statale di Musica Ottorino Respighi Latina e con la partecipazione di Simone Marzocchi
spazio scenico e costumi allievi dell’Accademia di Belle Arti di Brera Milano-Scuola di Scenografia e Costume coordinati da Edoardo Sanchi e Paola Giorgi
in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Brera-Milano
regia del suono Marco Olivieri
disegno luci Fabio Sajiz
direzione tecnica Enrico Isola e Fagio

coproduzione Fondazione Matera-Basilicata 2019 e Ravenna Festival/Teatro Alighieri
in collaborazione con Teatro delle Albe/Ravenna Teatro