MATTEO BRIGHENTI | Il corpo rinasce ogni volta che danza. Si prende la rivincita sulla vita, sulla gravità, su ciò che è o non è stato. Non esistono movimenti sbagliati, solo pensieri infelici: quelli che sottostanno ai propri limiti, come le dimensioni, le misure o le taglie.
«Partecipare è un atto di responsabilità – scrivono gli ideatori e direttori Luca Ricci e Lucia Franchi nel manifesto di Kilowatt Festival 2019 a Sansepolcro (19-27 luglio), intitolato Partecipare è normale – partecipare è fare un gesto semplice, quotidiano, di bellezza». L’atto dell’arte coreutica incontrata da Pac nel primo fine settimana, a fianco del teatro, segna il passo della bellezza differente, non conforme ai canoni, né ai modelli. Una grazia che abbraccia in uno tutti i corpi del mondo.
È l’intenzione che conta e fa il movimento. La forza è fatica e la naturalezza è un sorriso sulle labbra di Siro Guglielmi, Silvia Gribaudi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo. Graces, scritto e coreografato dalla stessa Gribaudi e da Matteo Maffesanti, è un incontro nel Chiostro di Santa Chiara che non lascia indietro nessuno: il gruppo è il fine. Dove non arriva uno, arriva l’altro a conquistare la posizione da cui, poi, ripartire uniti. La bellezza è l’insieme, è la somma, è plurale: le bellezze.
L’ideale neoclassico, statuario delle Tre Grazie di Antonio Canova si tramuta, infatti, nello slancio scolpito dei tre danzatori e, a un tempo, nella morbida dirompenza della danzatrice. Silvia Gribaudi è l’elemento di rottura dell’intero “gruppo scultoreo”. Ogni volta che si ferma e lascia proseguire gli altri, riporta con i piedi per terra le loro forme e le formalità, anche, della danza in genere. E, cosa ancora più importante, con lei prende corpo e di nuovo vigore il nostro sempre più arduo rialzarci.
Guglielmi, Marchesi, Rampazzo, la aspettano, la ascoltano, se ne prendono cura lungo tutte le numerose evoluzioni di Graces. È un percorso trascinante, irresistibile, esaltante. Fatto, verrebbe da dire, soprattutto per divertirsi e divertire. Nel senso, pure, di “volgere altrove” la convinzione che esista qualcosa che non è alla nostra portata oppure che non si possa fare, sul palcoscenico come fuori di qui. Invece, queste braccia e queste gambe che abbiamo sono infinite.
«Niente scuse, niente limiti» è il motto del breakdancer Redouan Ait Chitt, meglio noto come Redo. Il solo che prende il suo nome, ideato, diretto e coreografato da Shailesh Bahoran, è una luce accesa sulla volontà e la disciplina che fondano la consapevolezza di andare con sé oltre di sé, e da lì prendere il volo. Il movimento completa qualunque corpo: sgraziato è stare fermi, immobili dentro etichette che non definiscono chi siamo realmente.
Senza alcuna spiegazione medica, Redo è nato con malformazioni al braccio destro, alle mani, alla gamba destra. Sono quindi altri i punti di appoggio, altre le gravità che cerca nel Teatro alla Misericordia. E le trova in un ipnotico lanciarsi e slanciarsi, con una potenza e una leggerezza sorprendenti. Così, le giunture quanto le offese scompaiono e rimane soltanto la danza. La scena ha questo di meraviglioso: l’artista diventa la sua opera, e viceversa.
Da ultimo, tira schiaffi a parecchie lampadine calategli sulla testa. Scaccia gli occhi che non lo capiscono, che lo vogliono confinato nella sua disabilità, nel possibile. Al contrario, l’orizzonte di Redo è decisamente realizzare l’impossibile. Si tratta del gioco di prestigio della determinazione, del medesimo incanto dei muscoli che ritroviamo in Heritage, l’assolo di Bahoran prima di Redo.
La prestanza del danzatore è lo sfoggio di una sinuosità geometrica. Al pari di un derviscio rotante, carica e rilascia la veemenza dei suoi gesti. Esplora il valore, la purezza in fondo al proprio essere. Una vera possessione, quasi divina, una preghiera che finisce a mani giunte e gambe incrociate.
Il contorsionismo della figura, delle posizioni e delle direzione, verso una sorta di trasformazione appartiene similmente a Stefania Tansini. Nell’Auditorium Santa Chiara La grazia del terribile squaderna muscoli e posture, alla ricerca di punti di non ritorno. Scrutare la centralità dentro di sé è incedere tra modi di stare, di prendersi, di sostenersi. Una verticale che esprime e unisce la grazia nascosta nel rituale di una figura mostruosa e nella “normalità” del moto quotidiano.
Tansini appare componibile, quasi di quieta creta, finché non entra in risonanza con la contraddizione dell’unione di quegli opposti. Allora, la riflessione si trasforma in una lotta e il movimento si fa indemoniato di colpi e tremiti, da parte a parte. Accompagna tutta l’ampiezza di cui è capace, fino a cancellare il volto con la carezza di entrambe le mani.
Il lavoro ha quindi una struttura coreografica seducente, pur con qualche ripetizione di troppo e un’atmosfera di contesto abbastanza fissa, non dinamica quanto la danza espressa.
Un uomo cammina fuori dal Chiostro Santa Chiara con in mano dei sacchetti di plastica. Ha una maschera di anziano, delle scarpe da ginnastica e una tuta grigia dell’Adidas. Passa una volta, una seconda, pare come in trance, un’apparizione che si lascia trasportare qua e là dal nulla di valore che ha nelle mani. Scandisce il tempo strisciando i piedi sull’asfalto, nel tentativo di riportare alla mente qualcosa che gli è sfuggito e che prova, ora, a replicare.
Questa sorta di balera di strada dell’amore perduto di Carlo Massari è l’incipit di E.STIN.ZIO.NE di C&C Company / Ortika, creato, agito e cantato con Alice Conti e Chiara Osella. Quando si apre la strada del palcoscenico, quei sacchetti si rivelano il presagio di cumuli di spazzatura. Si mangiano letteralmente l’ambiente.
In un siffatto mondo alla fine del consumismo, apocalisse da black friday, una ragazzina ammutolita si fa largo tra i rifiuti. Forse, è il sogno di pulita dolcezza inseguito dall’uomo dell’inizio, invecchiato nell’attesa di comprare ciò che non può permettersi.
L’E.STIN.ZIO.NE, dunque, è il nostro Finale di Partita. Tutto, ormai, è rappresentazione di niente. La prova provata ce l’abbiamo di fronte adesso, con eccesso inverosimile.
GRACES
drammaturgia e coreografia Silvia Gribaudi, Matteo Maffesanti
con Siro Guglielmi, Silvia Gribaudi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo
luci Antonio Rinaldi
direzione tecnica Leonardo Benetollo
produzione Zebra
coproduzione Santarcangelo Festival
con la collaborazione di Klap – Maison Pour la danse, Centro per la Scena Contemporanea/Operaestate Festival, Orlando
con il sostegno di Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), Lavanderia a Vapore Centro di Residenza per la danza regione Piemonte, Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’arboreto/Teatro Dimora – La Corte Ospitale), ARTEFICI – Artisti Associati di Gorizia, Dansstationen, Danscentrum Syd, Skånesdansteater
con il contributo di ResiDance XL
vincitore di CollaborAction#4 2018/2019
REDO
concept, regia e coreografia Shailesh Bahoran
coreografia e danza Redouan Ait Chitt
musiche Rik Ronner
luci Mike den Ottenlander
visual Shueti
produzione Kayan Tang
ringraziamenti Leo Spreksel
HERITAGE
concept, regia, coreografia e danza Shailesh Bahoran
luci Peter Lemmers
produzione Korzo, Spin off, ISH from Performing Arts Fund
Prima Nazionale
LA GRAZIA DEL TERRIBILE
progetto, coreografia e danza Stefania Tansini
ringraziamenti Matteo Crespi, Claudio Tortorici, Anna Zanetti
produzione Nexus 2019
Prima Nazionale
E.STIN.ZIO.NE
concept, coreografia e drammaturgia Carlo Massari, Alice Conti
creato, agito e cantato da Carlo Massari, Alice Conti, Chiara Osella
luci e video Alice Colla
assistente Rossella Corna
Anteprima Nazionale
19-21 luglio 2019
Sansepolcro, Arezzo