RENZO FRANCABANDERA | Una certa soddisfazione abbiamo ricavato nell’attraversare il primo weekend della 20esima edizione di Contemporanea Festival a Prato (si sa, ai compleanni importanti si deve far di tutto per esserci).
Maestro di cerimonie con la sua sorniona aria british e il moustache d’antan il direttore artistico Edoardo Donatini, che quest’anno sceglie di proseguire la riflessione avviata nelle scorse edizioni Vivere al tempo del crollo, con particolare attenzione allo sguardo femminile sul mondo. E gliene va dato atto: diverse proposte riescono a spiccare dalla normalità, dando il sussulto di un festival vivo, attento, capace di fare proposte ad ampio raggio di emozioni e dal gusto multidisciplinare.
Prima di iniziare, visita rituale dal toscanissimo lampredottaio di fronte al Metastasio (ora MET). Si sa: l’arte si fa a pancia vuota ma si capisce a pancia piena, e di solito parto sempre con un cibo rituale del luogo; mi sembra così di prenderci un po’ casa, di entrare nel villaggio. Dopo il panino al lampredotto, di corsa dunque oltrefiume da Gabriella Salvaterra al Magnolfi per Un attimo prima (di cui parleremo a parte presto).
Ci si fionda poi al Museo Pecci per due performance.
La prima: ThodaDhyaanSe (Be Careful) di Mallika Taneja, che vive e lavora a Delhi. Quando il pubblico arriva trova due armadi a vista con una serie di coloratissimi abiti indiani disposti in grande ordine. Un tripudio cromatico per lo sguardo degli spettatori che però di lì a poco finirà calamitato dal corpo nudo, giovane e statuario dell’interprete indiana. Guarda fisso per un po’ il pubblico, quasi arcigna. Poi si scioglie in un sorriso, poi di nuovo dura, guarda tutti. Li fissa. Poi inizia un racconto, con voce veloce e allegra, un racconto quasi autoironico fatto di raccomandazioni paterne alla giovane figlia per evitare di trovarsi in posti pericolosi o per evitare di vestirsi in modo troppo disinvolto.
Eh sì. Stai attenta, perché se poi ti succede qualcosa… E mentre racconta, Mallika annoda al corpo tessuti e drappi, si avvolge in una, due, tre cinque camicie, e calze, e gonne, veste, sopraveste e controveste. Racconta allegra scene di vita metropolitana, di faccende normali, ‘da donne’, imbacuccandosi sotto trenta strati di vestiti, sorridendo e continuando fino quasi a impedirsi il movimento. E poi si infila anche in testa un casco.
“Perché se poi ti succede qualcosa…almeno non potranno dire che era colpa tua!”
Un pugno in faccia dato col sorriso, in quella che è una delle nazioni a sviluppo economico dichiarata nel 2018, per via delle molestie, violenze e forme dirette ed indirette di sopruso, come la più pericolosa per le donne. Bello, potente. Brava lei a farsi trafiggere dagli sguardi e poi a trafiggere lei, col sorriso, ma pungentissima. Meritati gli applausi.
La seconda: assai meno convinti (a e giusta ragione secondo chi scrive) i plausi per Harleking, del duo composto da Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi. Avremmo voluto commentare un esito strutturato e ben riuscito dopo la divertente e intensa azione dell’artista indiana; ci troviamo invece di fronte a una creazione che fonda i suoi crismi sulla ripetizione di movimenti la cui radice, in una nazione che da secoli vive di commedia dell’arte e di annesso movimento del corpo, non ci porta molto oltre ciò che in un normale laboratorio per addetti ai lavori potrebbe venir fuori mescolando questo codice a un po’ di informalità contemporanea. Il gioco fra maschera facciale e smorfia, mimica del corpo e dualità, iniziato da un singulto di risata, insiste per un certo tempo e senza particolari esiti su questo esercizio coreografico, in cui i due occupano, per la gran parte del tempo, una posizione a centro scena, con il pubblico di fronte, di poco distanti l’uno dall’altro e con movimenti che si susseguono in un finto unisono. Poco o nulla aggiunge alla creazione tanto il tessuto musicale quanto il doppio finale, dal sapore di scherzo al pubblico: su un fermo immagine che sa di compianto di un corpo morto, gli spettatori, incerti, plaudono sulla prolungata stasi scenica; reazione prevista dai due interpreti, che se ne prendono gioco, tornando così alla risata di inizio spettacolo. Mmhhh.
Peschiamo bene la seconda sera, quando assistiamo a due creazioni molto diverse ma di notevole intensità e vigore scenico e compositivo.
Parliamo di Graces di Silvia Gribaudi e del vigoroso Ghost Writer and the Broken Hand Break, opera techno per performer roteanti della belga Miet Warlop, che arriva a Contemporanea dopo le date di fine luglio a lei dedicate a Biennale di cui aveva testimoniato Elena Scolari: un’artista, la Warlop, di lunga frequentazione sulla scena performativa off italiana, e che avevamo conosciuto nel 2015 a Danae a Milano con il suo precedente Digging the bone.
Ghost Writer and… inizia con i tre che girano. Già visto, direte: ed effettivamente fra il Chroma di Sciarroni e un po’ di altri accaniti della traslazione danzata dell’esperienza dei dervisci, dopo qualche giro la cosa si fermerebbe lì.
Invece di lì in avanti inizia il concerto, con i tre che dotati di microfono e di dispositivi elettronici a distanza iniziano a fare musica battendo a ritmo i sensori che hanno in tasca e creando la base electro-punk per il loro concerto di techno-hiphop. Fra qualche (eccessivo) gioco di abilità (la sigaretta che svanisce nelle mani del fumatore-prestigiatore) e i tre che si fanno passare senza fermare la rotazione chi un tamburo, chi una chitarra e chi un piatto, nei 45 minuti in cui i performer sono in scena praticamente non smettono mai di girare, se non per un’interruzione improvvisa e che toglie il fiato al pubblico oltre che a loro, e da cui riprenderanno con la musica dopo pochi secondi, ancora più indemoniati per il finale.
Ora, che si tratti di una prova fisica eclatante, è fuori discussione. Tutti plaudono alla faticosa impresa. Il concerto digitale, l’esercizio atletico oltre che meditativo e l’azione coreografica, meritano comunque il sostegno convinto del pubblico. Che però il virtuosismo energico non sviluppi tutto il potenziale simbolico è una sensazione che, pur travolti da ritmo, curiosità per l’impresa ecc., ci resta un po’ addosso, se stiamo parlando dell’atto artistico nel suo complesso.
Senza dubbio maturo e diremmo opera centrale e compiuta in assoluto, con riguardo alla poetica della artista, Graces di Silvia Gribaudi, che ha debuttato questa estate a Castiglioncello per poi girare per altri festival (qui la testimonianza di Brighenti da Kilowatt).
Il lavoro, ispirato all’ideale compositivo neoclassico, alle grazie di Canova, vede in scena la danzatrice, da anni vigorosa esponente dell’accessibilità di corpi non idealizzati nello spazio danzato, accompagnata da tre valenti espressioni della danza contemporanea italiana, scelti con grande acume dalla coreografa: Siro Guglielmi, Matteo Marchesi e Andrea Rampazzo sono tre corpi maschili e tre idee umane differenti su come abitarli. Offrirli alla dea della danza è la prima delle grazie, perché riescono ad arrivare ad esprimere un potenziale creativo altissimo.
Chi conosce la Gribaudi sa come la sua presenza scenica si condisca oltre che di cenni di movimento di ispirazione classica (la sua formazione) da una serie di smorfie fra il sarcasmo e l’autoironia continue, sulla sua capacità di riuscire nell’atto creativo. E anche qui lo spettacolo nasce dall’ossimoro fra il personaggio fuori posto, una Miss Bean capitata lì quasi per caso, e i tre che, partendo da L’Estro Armonico di Vivaldi (l’Allegro del Concerto n.1), passando per il ritmo brazilectro e technopercussivo di Matmos di Pelt and Holler e dell’ultimo minuto di Tick of the Clock di Chromatics, ci porta in un crescendo di ritmo e composizione notevolissimo.
Fra pause, finti-ingaggi del pubblico (con cui lo spettacolo inizia: YOU HAVE THE POWER… geniale presa per il culo di tutto quel teatro che ormai si fonda su questa povera quarta parete sfondata e che andrebbe un po’ ri-eretta per il bene di tutti), tableaux vivants, controluce bellissimi dei tre corpi, il finale – ispirato a fontane con giochi d’acqua al ritmo della parte centrale dell’immortale e travolgente Sing, Sing, Sing di Benny Goodman – porta i quattro in scena a travolgere a propria volta il pubblico senza scampo.
Tutti funzionano, anche se non possiamo mancare di sottolineare la capacità di Siro Guglielmi di calamitare lo sguardo nell’eleganza compiuta del suo gesto e del suo stare in scena ironico e sardonico; quasi irriconoscibile confrontando quanto vediamo in scena con la forma più sintetica e a tratti chiusa dei suoi assoli. Ma benissimo funzionano anche il barbutissimo e scuro Matteo Marchesi contrapposto al più pallido Andrea Rampazzo, antitetici in una sorta di cromatismo della pelle a cui la Gribaudi non rinuncia.
E niente, c’è poco da dire: se vincesse qualche premio per questa creazione, la Gribaudi (con i suoi essenziali sodali in scena) non ruberebbe nulla. Anzi.
BE CAREFUL
di / Mallika Taneja
La piece è stata creata al Tadpole Repertory nel 2013, come parte del loro spettacolo ‘NDLS’ /
tour e produzione Meghna Singh Bhadauria
distribuzione internazionale Ligne Directe
HARLEKING
di e con / Ginevra Panzetti, Enrico Ticconi
suono / Demetrio Castellucci
luci / Annegret Schalke
costumi / Ginevra Panzetti, Enrico Ticconi
direzione tecnica / Paolo Tizianel
illustrazionie grafica Ginevra Panzetti
con il supporto di VAN (IT) Tanzfabrik, Berlin (DE), PACT Zollverein, Essen (DE), NAOcrea – Ariella Vidach – AiEP,
Milano (IT), KommTanz – Compagnia Abbondanza/Bertoni, Rovereto (IT), L’arboreto – Teatro Dimora, Mondaino (IT), AtelierSì, Bologna
(IT), C.L.A.P.Spettacolodalvivo, Brescia (IT)
ulteriori supporti / Cronopios – Teatro Petrella, Longiano (IT), Vera Stasi – Progetti per la Scena, Tuscania (IT), Anticorpi XL (IT)
GHOST WRITER & THE BROKEN HAND BREAK
concept e direzione Miet Warlop
musica e performance Pieter De Meester, Wietse Tanghe, Joppe Tanghe, Miet Warlop, Midas Heuvinck
testi / Raimundas Malasauskas, Miet Warlop, Pieter De Meester
tecnica e produzione Niels Antonissen, Mathias Batsleer
suono / Bart Van Hoydonck
luci / Henri Emmanuel Doublier
costumi / Karolien Nuyttens
prodotto da / Miet Warlop / Irene Wool vzw & NTGent
co-prodotto da / Arts Centre Vooruit Gent, HAU Hebbel am Ufer – Berlin (DE)
grazie a / Carl Gydé, Jérôme Dupraz, Ian Gyselinck, Michiel Goedertier (LaRoy NV), Janis Van Heesbeke (ongezien), Maarten Van Cauwenberghe, Brahim Benhaddou (@coachedbybrahim), Seppe Cosyns
con il supporto di Flemish Authorities, City of Ghent, Actoral. 17 Marseille (FR)
GRACES
coreografia / Silvia Gribaudi
drammaturgia / Silvia Gribaudi e / Matteo Maffesanti
danzatori / Siro Guglielmi, Silvia Gribaudi, Matteo Marchesi e / Andrea Rampazzo
disegno luci / Antonio Rinaldi – direzione tecnica / Leonardo Benetollo
costumi / Elena Rossi
produzione / Zebra;
coproduzione / Santarcangelo Festival
residenze artistiche di / Klap – Maison Pour la danse Marsiglia, Centro per la Scena Contemporanea/Operaestate Festival del Comune di Bassano del Grappa, Orlando Bergamo
con il sostegno di Centro di Residenza Armunia/CapoTrave Kilowatt, Lavanderia a Vapore Centro di Residenza per la danza regione Piemonte, L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale: Centro di Residenza Emilia-Romagna, ARTEFICI – Artisti Associati di Gorizia, Dansstationen, Danscentrum Syd, Skånesdansteater Malmö Svezia
e con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia – progetto di Circuito CLAPS e Industria Scenica, Milano Musica, Teatro delle Moire, Zona K – progetto realizzato con il contributo di / project realized with the contribution ResiDance XL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche, azione della Rete Anticorpi XL – Network Giovane Danza D’autore, coordinata da L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino – con il sostegno del / MIBAC
Vincitore dell’azione CollaborAction#4 2018/2019
[…] via Ci vuole (auto)ironia per resistere ai crolli: Contemporanea 2019, spunti al femminile per la soprav… […]