TUTTI NOI | Cosa siamo stati in questo tempo? In questi giorni corsi e trascorsi a seguire e a inseguire l’arte? Siamo stati testimoni, abbiamo attraversato – ma solo perché abbiamo accettato di farci attraversare – le emozioni dell’arte dal vivo. E abbiamo voluto condividerle con chi come noi ne fa la passione di una vita/da una vita.
Abbiamo quindi chiesto a ciascuno di rendere testimonianza dell’emozione più alta provata, dei momenti indimenticabili, le cose per cui il cuore ha battuto forte.
Senza classifiche, senza premi. Una geografia emotiva.
Un giardino anarchico come quelli di Gilles Clément, ma potente, in cui è possibile leggere forse molto del teatro italiano e non solo.
Attraversate con noi il nostro 2019.
PAOLA ABENAVOLI | Il 2019 teatrale per me è racchiuso nel monologo di Salvatore Arena, Quanto resta della notte. Ma soprattutto è stato un anno ricco, in Calabria, di quel piccolo-grande teatro, fatto da artisti importanti, ma che spesso resta fuori dai grandi circuiti. Quel teatro che nasce nelle periferie, ricco di talento, tenacia, coraggio e scoperta.
ELENA SCOLARI | Il ricordo teatrale forte del 2019 è The repetition di Milo Rau. Perchè avvicinare e ribaltare continuamente verità e rappresentazione, intessere poesia e intelligenza, farsi domande e trovare risposte (spesso complesse), affrontare il buio per capire come uscirne, è quanto il teatro grande può fare per noi: scuoterci, capovolgerci per aiutarci a trovare il nostro posto nel mondo.
MARIA FRANCESCA GERMANO | E chi se lo dimentica questo teatrale 2019! Per Matera Capitale Europea sono passati da queste parti UBU, re e regine del teatro, visionari e sognatori: tutti a debuttare sulla pietra materana. Ermanna Montanari e Marco Martinelli, Milo Rau, Roberto Latini, suggestivi eventi teatrali come Humana Vergogna di Gribaudi e Uccelli di Gherzi… E se non finisse tutto qui? Se re regine e sognatori ripartissero dal sud ancora?
MATTEO BRIGHENTI | Lo spettacolo dell’anno. L’impresa di una compagnia. Il memorabile Moby Dick del Teatro dei Venti è l’ossessione dell’uno che si fa conquista di tutti. La forza del noi contro i rassicuranti steccati dell’io. Coraggio, incoscienza, studio, fatica. Più tenaci di qualsiasi sorte. Condividere un sogno non è smarrirlo. Tutt’altro: è realizzarlo. Questo, per me, è il gesto simbolo sulla scena del 2019.
FRANCESCA DI FAZIO | I am Europe di Falk Richter. Un ritratto emozionante dell’Europa di oggi, uno spettacolo in cui vederla e vedersi allo specchio, tra storie di esistenze sempre più disperse, veloci, drammatiche, romantiche, meravigliosamente faticose. Giovani attori energici con studiate doti performative, coreografie precise e un’orchestrazione impeccabile per un’Europa vestita a lutto che, nonostante ciò, canta Bella ciao.
LEONARDO DELFANTI | Stabat Mater di Faber Teater e Piccoli Funerali di Maurizio Rippa. Due spettacoli per la morte e la rinascita: dalla discesa agli Inferi al canto d’amore per coloro che non sono più in questo mondo.
Il dolore accolto, assorbito e trasformato in atto purificatorio ai Teatri del Sacro. L’amore va oltre l’oblio del tempo.
ANDREA ZANGARI | Sponz Fest. Un festival che discioglie la spettacolarità in canto collettivo, in un rito settimanale officiato nelle vie del paese e nelle forme del paesaggio. Vestiti nei panni della festa, quelli leggeri di fine estate, ci si scopre attanti di un processo di costruzione identitaria che si ripete da anni, alla ricerca di un ripetersi mai uguale a sé stesso, che testimonia l’incoercibile sete d’eternità del “Sud del Sud dei Santi”.
MARGHERITA SCALISE | Lisbeth Gruwez. Per l’importanza di muoversi, sia nella propria persona per una maggiore comunicazione, sia fisicamente nello spazio per recarsi nei festival dove compaiono eventi teatrali di rara qualità; per la potenza di una coreografa donna che travolge tanto quanto – se non di più – i molti creatori uomini; per il richiamo all’importanza della presenza e del rapporto col pubblico anche nella danza, per abbandonare una volta per tutte la concezione del danzatore come una poker face che presta il corpo alla forma.
REBECCA MOUTIER | Sono da poco nel mondo di PAC, ma sono subito stata colpita da uno degli spettacoli più forti e ricchi visti in questo 2019: La gioia di Pippo Delbono. Sicuramente tra i miei ricordi teatrali migliori, inafferrabile ma ben piantato nel presente. Da vivere (e rivivere) fino ad abbandonarsi e lasciarsi cullare dalle innumerevoli sensazioni che si inseguono e si mescolano fuori e dentro di noi.
GIAMBATTISTA MARCHETTO | Le inquietudini e le contraddizioni di Heiner Müller, quella sorta di sortilegio maniacale dell’intelletto che scava tra i simboli, si incarnano nella scena spoglia e iper-materica del Mauser di Oliver Frljić. Il Leone d’Oro della Biennale Teatro tortura corpi e parole, schianta legno e ghiaccio e volontà, inscena rituali di violenza intima in un viaggio sul crinale della frana intellettuale (e ideologica).
FRANCESCA GIULIANI | Se devo nominare l’esperienza teatrale che ha caratterizzato il mio 2019 quella è sicuramente il Festival di Santarcangelo in generale, e in particolare l’installazione Guilty Landscape di Studio Dries Verhoeven. Dentro la cornice dell’esperienza il festival riflette sul concetto di fruizione instaurando nuove possibili relazioni tra dispositivo scenico e spettatore. In questo senso le performance operavano ognuna su un limite preciso di sguardo e relazione tracciando confini più o meno permeabili tra realtà e finzione, scena e platea, attore e spettatore, tempo quotidiano e tempo extra-quotidiano. Non richieste di partecipazione diretta ma precise chiamate alla responsabilizzazione del proprio sguardo e della propria presenza all’interno di differenti dispositivi scenici fino a Guilty Landscape dove la cornice realtà/finzione sembra dissolversi e la soglia sfaldarsi: lo spettatore è ora testimone – colpevole – e oggetto stesso dello sguardo della video-installazione.
RITA CIRRINCIONE | Celebrare la grande coreografa tedesca che cambiò il volto della danza e del teatro contemporaneo; coinvolgere la comunità nel rituale dell’eterno ciclo della vita della Nelken Line; rievocare quello spettacolo deflagrante che fu Palermo Palermo; scegliere come spazio scenico quell’incredibile iperluogo che è il Cretto di Burri, opera compassionevole e resiliente con cui il maestro umbro diede forma d’arte alle rovine di Gibellina; farlo senza alcuna retorica commemorativa ma come una grande festa collettiva: questo è stato l’Omaggio a Pina Bausch delle Orestiadi di Gibellina 2019.
ALICE CAPOZZA | Un’esperienza di contatto umano e artistico, un’avventura condivisa: la Festa di Teatro Eco Logico anche nel 2019 ha portato il teatro a Stromboli in luoghi nascosti e inesplorati. Il linguaggio dell’arte (Logos) in un ambiente senza contaminazioni (Eco), scosso dalla forza degli elementi, il vulcano, il vento, il mare. Un’alchimia che avviene solo su questa isola, che si percorre solo a piedi, senza illuminazione, dove ci si incontra tutti nei pochi luoghi del paese, dove nascono amicizie e collaborazioni. Nessuno va via come è arrivato.
ROBERTA RESMINI | Il mio 2019 teatrale? Sorprendente, stimolante, tanti i luoghi attraversati e le esperienze vissute. Una su tutte la Trilogia sull’identità di The Baby Walk, per l’ironia, la profondità e al contempo la leggerezza con cui viene trattato il tema dell’identità di genere e per la grande capacità di lavorare sulla parola.
VALENTINA SORTE | Il mio 2019 teatrale è stato segnato da Underground di Cuocolo Bosetti perché la visione dal basso è un’altra, nuova lezione di spaesamento. Le geografie private e sotterranee si fanno qui pubbliche. Collettive. E viceversa. È questo che fa il teatro: ci riporta in uno stato permanente di allerta. È così che ci si apre a nuove visioni.
ELENA ZETA GRIMALDI | Difficile scegliere un’esperienza tra i differenti mondi, visioni, sensazioni, relazioni che questa nuovo percorso con PAC mi ha dato modo di sperimentare e raccontare nel 2019. Ne scelgo una per tutte, allora: Le Serve del Theatro Technis Karolos Koun a simbolo della forza di questo multiverso, capace di parlare travalicando i confini anche della lingua, di unire degli spettatori in un pubblico e di vivere con loro, di affascinare e insinuare, annullando spazio, tempo e, soprattutto, giudizio.
LAURA NOVELLI | Tra le esperienze teatrali più vive di questo 2019 ci sono tre momenti in cui ho riconosciuto e ritrovato la bellezza dell’essere Attori. E dunque il mio omaggio di fine anno va senza dubbio alla dedizione pedagogica e formativa della Scuola d’Estate attiva nel Centro Santa Cristina fondato da Luca Ronconi. Ma va anche a due lavori nei quali la fragilità e insieme la forza degli interpreti ha provocato in me spettatrice un desiderio di poesia. Perché la poesia – unica, solida e infinita – che si cela nelle pieghe di quello stare lì sul palcoscenico a parlarci di NOI non ha pari. Poesia è stata per me Regina madre di Manlio Santanelli con Fausto Russo Alesi e Imma Villa (regia di Carlo Cerciello). E Poesia è stata per me il recente I POETI MALEDETTI _ n.1 Io e Baudelaire _ Who wants to live forever? di Biancofango, con Andrea Trapani protagonista. Grazie di questi tre importanti regali.
ILENA AMBROSIO | Quante cose in questo anno, di quanti incontri mi sento fortunata. La possibilità di confrontarmi con la profonda maestria di Deflorian/Tagliarini e Roberto Latini, con la bravura del Mulino di Amleto, con la genialità di Sotterraneo. Ma è al principio di questo 2019 che voglio volgere lo sguardo e ai regali ricevuti al Kids Festival di Lecce. La scoperta della magica vivacità del teatro ragazzi, della sua capacità di dire e incontrare tutti, non solo i piccoli; la caparbia e appassionata operosità di Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro; l’accoglienza e il calore – perché poi, diciamolo, è l’umano che ci segna – di persone diventate nel corso di questo anno un po’ la mia “famiglia teatrale”.
Al principio di quel principio il ricordo indelebile di una magia che fu capace di scacciare in un attimo la stanchezza di un lungo viaggio tra le intemperie: il Cappuccetto Rosso di Michelangelo Campanale.
LAURA BEVIONE | La capacità di un artista di mettere a nudo la propria anima, senza vanità né toni predicatori ma con la forza della sincerità e della verità; di non indietreggiare allorché si tratta di rivelare l’abisso che si è aperto nella sua coscienza, forte della convinzione che sia quello l’unico strumento per attribuire alla propria esperienza una dimensione universale, capace di parlare agli spettatori e smuoverne l’indifferenza.
La mia emozione indimenticabile è per L’Abisso di Davide Enia.
RENZO FRANCABANDERA | Dove mi sono emozionato quest’anno? Più nei luoghi e con le persone, che nel teatro stesso.
Al Festival Horcynus Orca sullo Stretto di Messina, di fronte alla bellezza potente della natura; o durante la navigazione di fine settembre a Ferrara sulle acque del Po, che Teatro Nucleo ha offerto durante il festival Totem Scene Urbane; mi sono emozionato correndo sotto la pioggia per 8 km, dal centro alla periferia di Torino, per poter lavorare sul tema della stanchezza con Carovana Smi, ospitati da Stalker; o realizzando un piccolo Amleto digitale di 8 minuti con Michele Cremaschi e Andrea Zanoli a Trasparenze Festival (nell’unica comparsata sul palco della mia vita, finita giustamente con la ramazza in mano a pulire, mentre si abbassavano le luci).
E poi per i danzatori indiani sotto le stelle nella notte emiliana a Ca’ Colmello; a Polistena (Calabria), per l’impegno di Dracma, insieme alle altre realtà resistenti del territorio, come il LSS Theater. Per l’abbraccio sincero di Marco Maria Linzi nel ventre oscuro del Teatro della Contraddizione (imperdibile luogo dell’arte): il più vero e intenso commiato teatrale riservatomi da Milano, al mio lasciarla dopo otto anni. E più di tutto: ho pianto, in Sardegna davanti al telaio di Dolores Ghiani, che mi ha regalato la più importante lezione sull’arte degli ultimi anni.
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